
Le nostre prime esperienze di vita rimangono impresse in noi, come le fondamenta di una casa che andremo a costruire.
Fin dal momento in cui la nostra anima sceglie di incarnarsi su questa terra, la prima casa che ci accoglie è l'utero di nostra madre.
Ed ogni essere umano, come ogni mammifero, è passato da lì.
L'embrione che siamo stati è un esserino estremamente sensibile e ricettivo, che ha bisogno di dolcezza, contenimento, protezione e amore.
È proprio questo che dovremmo trovare nell'utero morbido, caldo e accogliente di nostra madre.
Purtroppo, però, spesso quest'utero porta con sé memorie di morte, di altri feti non lasciati andare, memorie di violenze subite, di dolore non riconosciuto. Così, l'utero, che dovrebbe essere un rifugio, diventa un luogo carico di energie dense, di anestesia e congelamento, di rabbia verso il maschile, di "No" ingoiati e repressi, memorie nostre e delle nostre antenate che ci hanno preceduto.
Inoltre, può succedere che la madre lavori fino all'ottavo o addirittura al nono mese, con un ritmo di vita frenetico, preoccupazioni, ansie e stress.
In queste circostanze, quello che dovrebbe essere un utero vibrante di ossitocina e amore diventa invece un ambiente pieno di adrenalina, che per il feto è come essere continuamente scosso ad un ritmo frenetico e incessante.
Ecco, se il feto ha vissuto e assorbito questa vibrazione (perché un feto assorbe tutto: emozioni, stati d'animo, pensieri della madre, anche ciò che succede nell'ambiente esterno), può scambiare l'adrenalina per amore, poiché questo è stato il primo nutrimento ricevuto.